Metafore della terra e dell'uomo.


Lydia Lorenzi stabilisce con le sue opere un vocabolario formale in cui l'evocazione di significati emerge attraverso un sottile carattere costruttivo, che non cerca referenze nelle chiavi tradizionali della scultura. La varietà nella scelta dei materiali, siano essi l'ardesia o il quarzo, il bronzo o l'acciaio con cui lavora, assieme alla rigore e all'eleganza delle composizioni, conduce a parlare di una vetta costruttiva e nel contempo pulsionale, che provoca associazioni impreviste tra la forma e lo spazio, creando composizioni potenti eppure delicate e armoniose.
Nell'assemblaggio delle sue sculture risiede un fortissimo contrasto tra i bordi netti della pietra, decisamente tagliata, e i profili irregolari, come è il caso di Guitar, o di Vela, dove i contorni sono elaborati con grande precisione, siano quelli netti, segati, oppure quelli frastagliati, in cui la pietra viene lasciata pura, viva, cruda come una sorta di mappa visiva dell'opera, data dalla qualità stessa della materia. Tagli netti o dentellati, genuine irregolarità della pietra sembrano definire uno spazio non soltanto interno all'opera, ma anche al suo esterno, lasciandola senza confini, senza apparenti limiti spaziali. Ed è in questo binomio di opposti che si aprono inquietanti fessure rettilinee, geometriche, che incidono fortemente nelle diverse combinazioni della relazione vuoto-pieno. Un vuoto più interstiziale che abissale, che offe la possibilità di muoversi su due piani di percezione diversi, in due dimensioni fisiche e contemporaneamente mentali.
Questi contrasti tra natura-cultura, vuoto-pieno, definito e irregolare, contribuiscono a configurare una spazialità dialogica in continua espansione, giocata tra le dicotomie di forme e rilievi, contorni e piani in una strutturazione immaginifica di cui queste opere sono metafora, evocando mondi lunari, frammenti di coste, rocce carpite a un mondo interiore e profondo non ancora solidificato ma fluido, che genera forme e terre inesplorate. Una geografia che, come nel caso di Ursa Maior, non si presenta in una trama figurativa: benché in questa opera le referenze di significato siano del tutto chiare, essa tuttavia non si propone come la rappresentazione di un agglomerato stellare, ma si fa leggere, per così dire, in modo assiomatico, come un microcosmo sperimentale, che si avvale di punti luce, rette e geometrie organizzate. Macrocosmo e microcosmo si alternano nell'opera di Lydia Lorenzi in una tensione spirituale, nella quale razionalità ed emozione partecipano in modo equilibrato nella costruzione della sua poetica; come in Eclissi di luna, in cui una figura umana levita, leggera e distaccata, abbozzata, su di un mondo da inventare.
Ma come anche in opere quali il bassorilievo Allevamento di ombre, in cui i colori di cui vibra il bronzo patinato, fanno da contrappunto a uno sfasamento dei piani di lettura. Metafora di un mondo che può essere colto attraverso una percezione che mira ora al generale, ora al particolare, in una sorta di sdoppiamento in cui linee, rilievi e cromatismi producono un percorso visivo accidentato, che cerca continuità tra gli elementi di una realtà riconoscibile ma frammentata, segmentata e in parte allusiva di significati diversi.
La raffinatezza di queste opere risiede nella loro capacità di fluire da un polo all'altro di un continuum stabilito entro dicotomie artistiche e concettuali, che sanno tracciare un percorso tra la materia grezza e la metafisica, tra il mondo spirituale e lo spazio entro il quale non già racchiuderlo, ma poterne parlare tracciando metafore della terra e dell'uomo.

dicembre 2009
Paolo Levi.

Nota:
Guitar, Vela, si trovano in scultura ardesia
Ursa Maior, si trova nelle costellazioni
Allevamento di ombre, si trova nelle sculture bronzo